Personaggi Illustri
Avigliano può annoverare, tra i suoi concittadini, alcuni personaggi illustri che hanno contribuito ad accrescere il valore culturale e sociale del proprio paese.
Negli approfondimenti i personaggi di maggior rilievo.
(1857-1907)
Nacque ad Avigliano il 20 Marzo 1857 e dimostrò sin da ragazzo grande acume e raffinato ingegno.
Grazie al fratello prete, Giuseppe, si trasferì a Napoli insieme all’altro fratello Vincenzo per soddisfare la propria sete di sapere.
Con grandi difficoltà economiche e accanito impegno si laureò in giurisprudenza all’Università di Napoli.
Pochi anni dopo la laurea conquistò l’insegnamento di diritto civile sulla Cattedra Universitaria di Napoli. Fu eletto deputato nel 1889 e fu nominato Ministro della Pubblica Istruzione a soli 39 anni.
Si distinse in questa veste per le riforme apportate nell’apparato scolastico dell’epoca. Si interessò inoltre di leggi sociali e di riforme agrarie.
Preparò la riforma della procedura penale rafforzando sempre più la sua fama di grande giurista.
I successi politici ed universitari non gli fecero mai dimenticare le umili origini e la modestia lo contraddistinse sempre.
Morì il 10 Novembre 1907 all’età di soli 50 anni colpito da male incurabile, mentre il re stava pensando a lui per il conferimento dell’incarico prestigioso di Presidente del Consiglio dei Ministri. Il 26 settembre del 1926 fu inaugurato il bellissimo monumento che lo ritrae, scultura che ancora oggi domina la piazza di Avigliano.
(Avigliano 1746 - Napoli 1799)
Nacque da Francesco e Orsola Pacifico.
Consacrato sacerdote nel seminario di Potenza continuò gli studi e si laureò in diritto civile e canonico.
Espertissimo nel suo campo venne spessoautorevolmente consultatoni difficili questioni forensi.
Aggregato al clero di Avigliano si distinse per zelo e costanza nell’azione pastorale fino al 1798: a 56 anni diede una svolta decisiva alla sua vita schierandosi apertamente con il movimento rivoluzionario repubblicano.
Nella città di Napoli (dove si era trasferito per partecipare attivamente alla cacciata del Re Ferdinando di Borbone) fu tenuto in grande considerazione dal Governo provvisorio della Repubblica Napoletana e con il grado di Commissario democrizzatore del Dipartimento del Bradano, tornò in Basilicata nella prima metà del 1799. Qui l’Albero della Libertà, simbolo della Repubblica, era già stato innalzato in molti comuni lucani.
La Repubblica Partenopea durò però pochi mesi: l’esilio, l’ergastolo, il capestrofurono la risposta della restaurazione borbonica che inesorabilmente olpì tra i patrioti aviglianesi anche Nicola Palomba. A colui che sul patibolo nela piazza del Mercato di Napoli, gli prometteva salva la vita se avesse rivelato il nome dei suoi complici, il Palomba con fierezza rispose: "Vile, io non so comprare la vita con un’infamia". L’epigrafe posta sulla facciata frontale del vecchio Municipio in Piazza Gianturco sintetizza gli avvenimenti che caratterizzarono Avigliano in quegli anni e ricorda il prezzo pagato dai giovani aviglianesi per l’affermazione del valore della democrazia e la creazione di una nuova società.
GIROLAMO VACCARO (Avigliano 1773 - Picerno 1798)
MICHELE VACCARO (Avigliano 1774 - Picerno 1799)
Avigliano ha pensato bene di dedicare due vie ai fratelli Vaccaro perchè nel tempo fossero ricordati entrambi.
Il loro merito più grande è stato quello di aver creduto negli ideali della Repubblica Partenopea e di aver lottato strenuamente perchè si affermasse tra la "nostra" gente una consapevolezza repubblicana antifeudale.
Insieme ad altri giovani studenti aviglianesi ebbero l’ardore di istituire una scuola di formazione alle nuove idee politiche, una scuola di giacobismo, sostenuta con determinazione anche dalla scuola di Eloquenza del domenicano Fra Tommaso Gagliardi, zio di Girolamo Gagliardi e dei fratelli Vaccaro.
La monarchia borbonica era stata così delegittimata. Occorreva però che questa nuova coscienza si radicasse a macchia d’olio: pertanto i fratelli Vaccaro per fermare la controrivoluzione sanfedista si resero promotori della costituzione di una lega chiamata
"Patto di concordia" a cui aderirono con Avigliano, Muro Lucano, Picerno, Potenza, San Fele, Tito e Tolve.
(1802-1866)
Il Fascio Lucano del 31 maggio 1866 riportava l’annuncio della morte di Michele De Carlo, il Tirteo della Lucania, aviglianese di nascita.
Divoratore di libri, appassionato allo studio dei classici, il De Carlo ammalatosi giovanissimo di tisi, si trasferì alcuni mesi in una deliziosa tenuta campestre in località Frusci dove si ristabilì in salute.
Nel 1824 all’età di 22 anni affrontò a piedi il viaggio da Avigliano(Pz) a Parigi; qui si trattenne ben poco percchè sentì forte la nostalgia della sua famiglia e della sua terra.
Prima di raggiungere Avigliano, sostò in alcune Accademie private in Toscanae in Lombardia per dare saggio della sua poesia estemporanea: ovunque raccolse applausi e consensi.
Avvocato di professione, si dedicò contemporaneamente agli scritti letterati in cui forte emerge la sua passione civile, l’amore per la natura, per Dio, per l’arte, per la vita nel suo quotidiano alternarsi di gioia e dolore.
A testimoniarlo sono i componimenti di vario genere raccolti postumi nel volume "Poesie inedite" stampato a Melfi nel 1895 da Antonio Luccioni Editore.
Sempre attento agli avvenimenti della vita politica del suo tempo, il De Carlo seppe rendersi interprete dei sentimenti patriottici componendo canti che risvegliavano negli animi l’orgoglio nazionale.
La fine del brigantaggio e la morte di Ninco Nanco - brigante aviglianese - sollecitarono il De Carlo che ricopriva all’epoca la carica di Sindaco del Comune di Avigliano, a comporre per l’occasione, l’originale acrostico di seguito riportato:
Ero e non son più, di sangue intriso
Corsi i campi ove sorge il Sacro Monte
Col ferro, il fuoco, lo sterminio e l’onte
O’ l’uman diritto e quel di Dio deriso.
Nessun mi guardi con pietade in viso
Il nome di Cain mi bolle in fronte ;
Non rispettai del mio battesimo il fonte;
Crudel mi son su cento tombe assiso
Or del Carmelo la Patrona e Diva,
Non più soffrendo la mia fausta sorte,
Arcano, ausilio ad AViglian largiva;
Negar non posso che Colei può molto,
Che al di qua di quel Monte ebb’io la morte.
Oltre quel Monte è mio fratelsepolto.
(Avigliano 1810-L’Aquila 1881)
Vito Antonio Sebastiano Filippi nacque in Avigliano (Pz) da Leonardo e Anna Maria Mecca.
Ancora adolescente venne ammesso tra i Francescani Riformati di Potenza con il nome di Fra Luigi di Avigliano. Conseguì successivamente la cattedra di Filosofia, di Teologia e di Sacra Eloquenza; eletto Ministro Provinciale nel 1844, Padre Luigi Filippi trasferì e riorganizzò la Provincia religiosa nel Convento di Santa Maria degli Angeli di Avigliano. Promosse un’intelligente riforma degli studi che fu presa poi a modello anche da altre istituzioni ecclesiastiche e laiche. Egli stesso insegnò filosofia e fisica, organizzò nel convento una ricca biblioteca, un gabinetto di fisica, una collezione di minerali.
Per suo merito, il Convento di Avigliano, nella prima metà dell’800 divenne luogo di incontro di studiosi, letterati, poeti, meta di richiamo anche per il Re Ferdinando II di Borbone che lo visitò nel 1846.
Padre Luigi lasciò il convento nel 1853 per trasferirsi L’Aquila dopo esserne stato nominato Vrscovo; in questa Diocesi continuò la sua azione riformatrice distinguendosi sia nel campo apostolico che in quello culturale.
Nel 1876 la Santa Sede lo elevò alla dignità di Primo Arcivescovo dell’Aquila. All’intensa e molteplice azione di rinnovamento nel campo ecclesiale e civile, Padre Luigi Filippi associò una forte e costante attenzione agli studi economici interessanti la Basilicata; dopo il 1838 in qualità di Presidente della Società Economica di Basilicata, avviò la pubblicazione del "Giornale economico-letterario della Basilicata" per sollecitare gli studiosi lucani e i politici del tempo a riflettere sulle cause delle misere condizioni in cui versava la Basilicata.
Come Vescovo partecipò da protagonista ai lavori del Concilio Vaticano I.
(Tolve 1867 - Napoli 1916)
Nel secolo scorso gli aviglianesi dimostrarono una notevole propensione per gli studi giuridici affermandosi sia come docenti universitari che come autorevoli avvocati in sintonia con le tradizioni della scuola giuridica napoletana.
"A Napoli lo studio del diritto è stato sempre fuso con la pratica e il professore è stato sempre avvocato, perchè qui non esiste il pregiudizio che le cause debbano essere affidate ai pratici, non a chi insegna il diritto. Salvo imfatti rare e lodevi eccezioni, i giuristi delle regioni settentrionali rimangono nel puro campo scientifico, mentre da noi, venendo a continuo contatto con le esigenze pratiche, hanno affinata e precisata la teorica in modo meraviglioso."
In questo filone si inserisce a pieno titolo Nicola Coviello. Figlio di genitori aviglianesi: Domenico e Rosa Maria Summa, ebbe i natali a Tolve (Pz), ma si considerò sempre aviglianese. Dopo aver compiuto gli studi secondari, fu indirizzato agli studi giuridici dal padre Domenico, consigliere di Corte d’Appello.
Si laureò a Napoli nel 1888, entrato giovanissimo in magistratura, più per assecondare le aspirazioni paterne che per intimo convincimento, si dimise presto per intraprendere la carrira accademica; "visse in piena comunione di vita e di affetti col fratello Leonardo, un altro insigne campione della scienza civilistica italiana".
Divenne fedele discepolo di un altro illustre nostro cittadino: Emanuele Gianturco che in quegli anni insegnava come libero docente nella facoltà giuridica napoletana.
A soli 25 anni Nicola Coviello conseguì la libera docenza in diritto civile: insegnò all’Università di Napoli, poi nella libera Università di Urbino.
Successivamente nel 1896 ottenne la cattedra di diritto civile presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania.
Qui insegnò per tutta la vita rifiutando energicamente sia la cattedra di diritto ecclesiastico a Pisa che quella di diritto civile a Pavia: ciò gli valse un ricordo marmoreo, eretto nell’atrio dell’Ateneo catanese, in segno di perenne gratitudine.
Per tener sempre desto il ricordo di quest’uomo, Avigliano gli ha intitolato la strada dove visse nella sua fanciullezza.
(1871-1945)
Figlio di Timoteo Remiglio e di Angela Maria Masi, Tommaso Claps è ricordato come autorevole giurista, fine letterato, storico singolare.
Attento testimone del suo tempo, il Claps ha saputo fotografare il vissuto della nostra gente e riprendere i costumi, le tradizioni, la lingua, i sentimenti fornendo attraverso la raccolta di pagine inedite e documenti importanti della nostra storia locale, un ineludibile contributo alla ricostruzione storiografica lucana e dell’intero Mezzogiorno.
Tuttavia il nome di Tommaso Claps resta indissolubilmente legato al suo capolavoro letterario "A pié del Carmine. Bozzetti e novelle basilicatesi". Cos’ il figlio Remigio - affermato pittore - presentava nel 1963 la seconda edizione del pregevole capolavoro letterario: "Con questa raccolta di novelle che ebbe i più lusinghieri giudizi del D’Ancona, del Racioppi e del Lipparini, Tommaso Claps contribuì a rendere nota alla maggior parte degli italiani la Lucania....nel periodo in cui la narrativa a carattere regionale aveva in Italia il suo maggiore sviluppo."
(1872 - 1944)
Antonio Labella, ancora vivente, venne definito "poeta della Lucania".
A Napoli conseguì la licenza liceale con altissimi voti che gli meritarono un viaggio gratuito nelle principali città italiane. Esigenze di famiglia gli imposero di seguire gli studi giuridici per poter curare anche gli interessi patrimoniali della sua casa.
La passione per gli studi classici e le letterature straniere sollecitarono il giovane studente a seguire presso l’Università di Napoli anche i corsi letterari del D’Ovidio e del Torraca.
Successivamente mentre svolgeva la professione di avvocato, ebbe modo di intraprendere frequenti viaggi in Italia.
A Milano Antonio Labella si intratteneva volentieri e spesso presso il cenacolo di Silvio Spaventa Filippi, suo amico fraterno: qui potè intessere rapporti amichevoli con letterati come Palazzi e Provenzale.
Oltre a interessi letterari seguì sempre con costante attenzione e da protagonista i problemi economici e sociali della sua Lucania, e trovò in essi motivi ispiratori per la sua interessante produzione poetica.
D’estate, nella bella piazza del paese sottostante la sua abitazione, Antonio Labella amava declamare i suoi versi pubblicamente; favorito anche dalla brillante arte oratoria, destava sempre ammirazione e consenso nei presenti.
Negli ultimi ultimi giorni della sua vita, una paralisi gli impedì definitivamente l’uso della parola:
"Il Cigno di Avigliano, il poeta della Lucania, l’artista della parola, non poteva più articolare verbo".
La sua produzione poetica (comprensiva anche di poesie in vernacolo aviglianese ed altre di interesse locale) è rimasta quasi del tutto inedita. Restano le liriche amorose raccolte nel volume "Echi dell’anima.Rime e Ritmi 1892-1942", stampato postumi dalla famiglia nel 1951.
(Avigliano 1918 - Cafarnao 1991)
Ai piedi del paese nel piazzale dove fino al 1975 c’era l’antica chiesa di San Giovanni, una bella scultura dell’artista locale Vincenzo Claps è lì a ricordare i natali e la vita di Padre Virgilio Corbo che in Avigliano maturò la sua vocazione sacerdotale.
Egli in un’intervista in cui gli si chedeva se desiderasse la sua vita in Terra Santa così rispondeva: "Sono nativo della Lucania e attaccato alla mia terra, ma sono venuto in Palestina da ragazzino, a dieci anni. Nella terra di Gesù ho vissuto un’esperienza che mi ha fatto comprendere la storia del Cristianesimo e la bellezza del Vangelo. E questa esperienza continua ancora con risvolti, sorprese, scoperte sempre più interessanti: per questo ho deciso di restare sempre in Terra Santa al servizio del Vangelo e della Scienza".
Il desiderio di quest’uomo è stato esaudito: il suo corpo infatti è stato tumulato presso la casa dell’Apostolo Pietro, la cui scoperta gli ha segnato un posto di prestigio nella storia dell’archeologia. Formatosi alla scuola di Padre Bellarmino Bagatti, fece le sue prime esperienze di scavo a Emmanus di Qubeibeh dal 1940 al 1943 e successivamente proseguì le sue ricerche in Giudea, in Giordania, in Gallilea, pubblicando puntualmente i risultati degli scavi in rapporti preliminari e pubblicazioni definitive. L’elenco degli scritti comprende più di cento titoli tra monografie ed articoli riportati su prestigiose riviste giornalistiche.
Tra le onorificenze e le attestazioni di stima, in riconoscimento dei suoi alti meriti, nel 1983 la Santa Sede nominò Padre Virgilio Corbo Commissario generale per la preservazione del patrimonio culturale in Terra Santa presso l’Unesco, in caso di conflitto armato. Il suo vanto maggiore è stato non tanto quello di aver ritrovato la casa di San Pietro, quanto quello di aver reso Cafarnao un luogo sacro e la casa di Pietro un luogo di preghiera come lo fu nei primi secoli dell’era Cristiana
Ultimo aggiornamento
29 Dicembre 2021, 15:13